Home » Riccardo Ambrosetti: «Il leader non deve controllare, ma stimolare la crescita continua del team»

Riccardo Ambrosetti: «Il leader non deve controllare, ma stimolare la crescita continua del team»

di Katia Cedioli
Pioniere nell’uso dell’intelligenza artificiale per la finanza e fondatore di Ambrosetti AM, Riccardo Ambrosetti condivide le sue idee sistematiche per investitori professionali.

 

Ambrosetti Asset Management (AAM) è nata nel 2003 in provincia di Como su iniziativa di Riccardo Ambrosetti, pioniere nella proposizione di modelli di investimento data driven guidati da logiche behavioral based a supporto di processi di investimento più moderni, efficienti e robusti. Nel 2018 AAM è stata iscritta al registro delle Piccole Medie Imprese Innovative con il riconoscimento del know-how  “best in class” nel campo di applicazioni data driven nei processi di investimento finanziario. Il suo fondatore ci racconta in questa intervista il percorso della società e i progetti futuri.

Ambrosetti AM è nata come “laboratorio di idee di investimento”. Quali valori personali l’hanno guidata nella sua fondazione e come questi influenzano il modo in cui gestisce oggi l’azienda e il rapporto con i suoi clienti?

Il valore fondante di Ambrosetti AM è rappresentato dal nome. Avere dato il mio nome alla boutique vuole significare la responsabilità personale che difficilmente offrono i principali player, che infatti si propongono con nomi tipici di prodotti standardizzati. L’obiettivo di fornire servizi guidati da competenza e onestà, e caratterizzati dalla piena condivisione dei risultati con il cliente, non possono essere delegati a semplici persone giuridiche, ma ricondotti a persone fisiche responsabili personalmente. Ho intrapreso una strada che adesso posso dire unica: fornire servizi di alta professionalità, personalizzati, con remunerazione guidate da fee di performance e, non ultimo, auto finanziando il progetto in completa indipendenza da player finanziari. 

Guardando indietro, qual è stata la sfida più grande che ha affrontato e come ha influenzato la sua visione sull’asset management?

La sfida più grande, non ancora conclusa, è quella di convincere i clienti istituzionali dell’importanza di investire in processi decisionali moderni in grado di assicurare minore rischio e migliori performance e, inoltre, convincerli che siamo puri fornitori di know how, non competitors che possono sottrarre loro lavoro. Con la clientela HNWI (High-Net-Worth Individual), invece, la sfida è convincerla sulla capacità di produrre soluzioni che hanno un rapporto rendimento-rischi significativamente migliore dell’offerta che mediamente si trova sul mercato

Quali esperienze personali o professionali hanno influenzato maggiormente la sua capacità di innovare nel mondo della finanza?

Quando ero un giovane alle prime armi ho avuto modo di osservare da vicino come la maggior parte delle cosiddette informazioni professionali venivano da intermediari che avevano un unico scopo: farti operare il più possibile al fine di generare commissioni, senza riguardo per gli obiettivi e le attese del cliente. L’alternativa a essere “predati” dai player dominanti è quella di disporre di sistemi di giudizio indipendenti dal mainstream.  Quindi mi sono trovato presto a un bivio: accettare di fare una carriera da preda oppure avere informazioni qualificate. Questo mi ha spinto a dedicare tutta la mia vita professionale a realizzare la modellistica Evidence Based Performance Analysis, composta da diversi algoritmi brevettati e di nostro uso esclusivo.

Come descriverebbe il suo stile di leadership e in che modo è cambiato nel corso degli anni?

Quando ho fondato Ambrosetti Asset Management mi sono posto due obiettivi. Uno interno, cioè trattare i collaboratori come avrei voluto trattassero me i precedenti datori di lavoro. Uno esterno: trattare i clienti con il rispetto che io da cliente non avevo mai goduto. Quindi ho cercato di ingaggiare professionisti che fossero dei “volontari”: non venissero in ufficio solo perché pagati ma anche perché coinvolti nel mio progetto. Col tempo ho imparato che i migliori collaboratori sono onesti e competenti, non necessariamente appassionati. Stile quindi delegante: difficile che io prenda una decisione, anche strategica, senza avere condiviso opinioni con tutti i miei collaboratori. Inoltre, completa fiducia nella responsabilità dei singoli: credo che chi ha tutto sotto controllo non abbia potenzialità di crescita. Il leader non deve controllare, deve stimolare crescita continua in ciascun componente del team.

Quanto è importante per lei lo stile, sia nella vita personale che in ambito professionale? Ha un tratto distintivo nel suo modo di presentarsi o comunicare che sente come parte del suo marchio personale?

Secondo me l’abito fa il monaco, tanto più in attività come il Wealth and Asset Management dove il valore creato è per definizione intangibile e quindi difficile da comunicare. Per me lo stile è importantissimo, deve comunicare quello che vuoi far arrivare al mercato. Ho scelto di adottare uno stile semplice sia pure curato, flessibile, contro lo standard del mercato molto “ingessato”. Questo deve far percepire che tu sei diverso, sei un’alternativa o, almeno, un anello della catena del valore complessivo che produce l’attività, un anello unico e insostituibile. Sei al servizio di chi ha i soldi e di chi li gestisce. Quindi ti devi presentare con un look diverso dall’abituale, vicino al risparmiatore.

Cos’è il “market timing”, come se lo spiegasse a un bambino?

Il “market timing” è quella attività di investimento che mira a comprare basso e vendere alto. L’alternativa, sponsorizzata dall’industria, è quella dell’approccio “cassettista”: compro e tengo per sempre. La maggior parte della letteratura finanziaria, guidata dall’industria, pubblica studi che dimostrano come l’attività di market timing distrugga valore, quindi sia meglio non farla. Non è vero: è una attività che richiede grandi capacità che si sviluppano nel tempo con grandi investimenti. È l’unica capacità che davvero permette di contenere le perdite ed assicurare efficienze di portafoglio altrimenti impossibili. Chi ha questa capacità, ovviamente non le rende nota, le usa per sé. Quindi non c’è possibilità di imparare da altre tecniche sovra-performanti. In sintesi, chi sa nasconde, chi non sa…. scrive che non è possibile sapere.

 

Katia Cedioli

Ti potrebbe piacere

Lascia un commento

My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: