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Compliance e comprensione: l’approccio di Elio Blasio nel mondo finanziario

di Valentina Tafuri
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Un esperto di wealth planning ci spiega come pianificare e proteggere al meglio il patrimonio familiare, o legato a un’attività imprenditoriale, per evitare che venga dissipato nel passaggio generazionale.

 

L’avvocato Elio Blasio è Managing partner dello studio Blasio Legal Advisors Group, con sedi a Roma, Malta e in Svizzera. Oggi si occupa di wealth planning, ma il suo percorso professionale lo ha visto ufficiale della Guardia di Finanza e pilota militare di elicotteri, prima di diventare uomo di legge e specializzarsi nel settore finanziario, come ci racconta in questa intervista.

Come è approdato quindi a questa specializzazione?

Vi sono arrivato indubbiamente in seguito a un percorso professionale e di vita che mi ha dato una determinata impostazione. Nella mia esperienza nella Guardia di Finanza ho avuto modo di conoscere molte aziende di ogni dimensione e di capirne le criticità, sviluppando una sorta di sesto senso investigativo. Come avvocato tributarista ho aggiunto a questa expertise la conoscenza degli elementi di criticità fiscali, societari e patrimoniali, che possono creare alle aziende notevoli difficoltà.

L’esperienza come Commissario Giudiziale e Straordinario nell’ambito delle procedure di amministrazione straordinaria, che dal 2002 mi ha portato a occuparmi di aziende di grandi dimensioni come Postalmarket con i suoi circa 1000 dipendenti, o del Gruppo Giacomelli, che di dipendenti ne aveva quasi 3000, ha completato la mia visione d’insieme, potendo meglio comprendere il punto di vista dell’imprenditore. Questo “trittico” mi ha condotto a una sintesi che mi consente di accompagnare i clienti verso un più idoneo passaggio generazionale, e a preservare il patrimonio.

Lei è anche un esperto dei mercati finanziari. Quali problematiche si trova a affrontare più spesso?

Il mio punto di vista è sempre quello dell’avvocato, pertanto mi occupo prevalentemente degli aspetti che riguardano la conformità alle norme, la cosiddetta compliance. Nonché, in misura sempre più importante, l’attenta verifica del cliente nell’ottica della prevenzione dal rischio di riciclaggio e autoriciclaggio. Parliamo di diritto regolatorio ed è molto importante anche per lo sviluppo di aspetti connessi in maniera diretta al business aziendale, perché spesso vi è un latente o, in alcuni casi, espresso contrasto tra il gestore di un portafoglio e il responsabile della compliance, che pone dei veti troppo stringenti su alcune operazioni finanziarie, non sempre purtroppo attentamente verificate in tutti i loro passaggi in maniera analitica. 

D’altra parete, a mio avviso, a volte non vengono segnalate operazioni che solo in apparenza sono conformi alle norme, perché formalmente molto ben strutturate, ma che in realtà possono celare operazioni in contrasto con le norme antiriciclaggio, come spesso si legge anche sugli organi di informazione. Occorre perciò una grande sensibilità, che nasce sul campo e non sui manuali, per riconoscere la non conformità alle norme di operazioni talvolta molto ben congegnate e tali da essere solo apparentemente compliant.

Quando si parla di materia finanziaria, uno dei problemi è la difficoltà di capire un linguaggio spesso troppo tecnico. Cosa si può fare a riguardo?

Molti si soffermano sulla difficoltà e sulla necessità, anche nella tematica del wealth planning, di usare un linguaggio che possa essere percepito e recepito da chi non è addetto ai lavori.

Personalmente ho pubblicato anche una guida al passaggio generazionale, cercando di descrivere tematiche complesse attraverso analogie e similitudini, talvolta perfino con il riferimento a fiabe, cercando di arrivare al punto in maniera semplice e intuitiva.

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Questo anche perché chi ha un’impresa non vuol perdere tempo e non si sofferma su tematiche che reputa avulse dal suo business. Quindi la difficoltà di farsi capire esiste e credo non ci sia una soluzione unica e valida sempre. L’aspetto più importante e a volte a mio avviso tralasciato o non attentamente considerato, è il non sforzarsi di capire chi si ha di fronte e che cosa si aspetta il nostro interlocutore. Vi sono professionisti che ritengono che il passaggio generazionale sia un tema squisitamente tecnico e, perciò, un problema di mere technicality da applicare.

E lei che ne pensa?

A mio avviso non è così, poiché ogni operazione è un caso a sé. Di conseguenza, ciò che conta è riuscire a traguardare il reale obiettivo del cliente, attraverso l’utilizzo degli strumenti giuridici più adatti e adeguati, che si tratti di un trust, un patto di famiglia, una fondazione o quant’altro sia utile e vantaggioso nel caso in osservazione. Quindi il mio approccio è innanzitutto, una volta compresi gli obiettivi strategici, cercare di fornire delle “pillole” che possano suscitare la curiosità e poi l’interesse del cliente, per poi giungere, con passaggi successivi e graduali, ai necessari approfondimenti. Un percorso che richiede tempo e gradualità.

Un consiglio alle giovani generazioni?

Se possibile, riterrei più utile una suddivisione a partire dalle generazioni dei 65-75 enni, che hanno grandi aspetti positivi ma che, in alcuni casi, tendono a chiudersi in una rigidità intellettuale che può, talvolta, non consentire di avvalersi di nuove soluzioni, anche di carattere giuridico e fiscale, potenzialmente vantaggiose. Tra questi, però, trovo anche imprenditori con una grande umiltà e il desiderio e la disponibilità mentale di avere ancora qualcosa da imparare e di essere perciò disponibili, ove necessario, a modificare un precedente orientamento o una decisione fino a quel momento ritenuta immodificabile.

I 40-50enni, invece, quando sono in gamba, sono come dei treni in corsa e possono fare molto bene perché spesso hanno anche conoscenze tecniche importanti. Gli manca solo, per forza di cosa, la grande esperienza di chi gli ha lasciato le redini dell’azienda. Riguardo ai 25-30enni, ce ne sono alcuni umili, brillantissimi, ricchi di competenze e che si muovono anche in ambito finanziario con grande capacità riuscendo a sfruttare in modo intelligente le tecnologie attuali, come le blockchain. Poi, purtroppo, ci sono quelli che, pur occupando già ruoli importanti nelle aziende familiari, risultano inadeguati, a volte incapaci di riconoscere la propria inadeguatezza ma ugualmente lasciati nel loro ruolo. Questa è una tematica molto scivolosa e che meriterebbe un ulteriore approfondimento, poiché va a toccare delicati equilibri di governance familiare, a volte di difficile composizione senza creare pericolosi fratture o disequilibri in seno al gruppo, talvolta composto anche di famiglie allargate.

Riguardo allo stile che caratterizza chi opera nel mondo finanziario, per sua esperienza, ha importanza nel rapporto con il cliente? lei ha un suo tratto distintivo?

Personalmente ritengo che l’aspetto più importante riguardi la professionalità, il sapersi confrontare in maniera adeguata con i nostri interlocutori, non ritenere mai nulla di scontato, saper ascoltare e comprendere le reali esigenze di chi abbiamo di fronte. Non ritengo, perciò, che il nostro cliente sia particolarmente interessato al nostro stile di abbigliamento e voglio sperare che sia così.

Ovviamente il contesto in cui ci si trova riveste la sua importanza, ma ciò investe soprattutto la necessità di adottare, anche come forma di cortesia e rispetto, forme di comunicazione e di stile nell’abbigliamento in linea con la situazione del momento, più o meno formale a seconda delle circostanze. Il famoso proverbio «l’abito non fa il monaco», sempre in auge, ci ricorda che, a volte, l’apparenza non corrisponde alla realtà e perciò è un sempre valido suggerimento l’essere cauti nell’esprimere valutazioni troppo frettolose sul conto di qualcuno, perché a volte le apparenze ingannano.

 

Valentina Tafuri

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