Concordato preventivo biennale 2025: cosa cambia per i titolari di partita IVA? Proroga dei termini, stretta sui forfettari e nuove aliquote per i redditi alti. Le novità e delle implicazioni pratiche.
Introdotto nel 2024 con il Decreto Legislativo n.13/2024, il concordato preventivo biennale (CPB) è uno strumento fiscale che consente ai titolari di partita IVA di pagare le imposte sulla base di importi preventivamente concordati con l’Agenzia delle Entrate, anziché sui redditi effettivamente conseguiti. L’obiettivo principale è favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali, ridurre le controversie tributarie e garantire stabilità fiscale per due anni consecutivi.
A differenza del concordato tradizionale, il CPB si rivolge esclusivamente ai soggetti passivi d’imposta con elevati punteggi ISA (Indici Sintetici di Affidabilità), considerati fiscalmente affidabili. L’Agenzia propone un reddito basato sui dati disponibili, e chi accetta versa le imposte su quel reddito per due anni, indipendentemente dall’andamento economico. L’adesione è riservata ai titolari di partita IVA in regola con i versamenti fiscali, che in cambio beneficiano dell’esclusione dagli accertamenti ordinari, salvo irregolarità o variazioni rilevanti nei redditi dichiarati.
Nonostante le premesse positive e gli obiettivi ambiziosi, il primo anno di applicazione del CPB ha evidenziato alcune criticità operative e un numero di adesioni inferiore alle aspettative, soprattutto da parte dei contribuenti in regime forfettario. Per affrontare queste problematiche e rendere lo strumento più efficace, nel 2025 il Governo ha introdotto un decreto correttivo, approvato il 13 marzo dal Consiglio dei Ministri, che rivede i criteri applicativi e amplia i tempi per l’adesione.
Le novità
Tra le principali modifiche introdotte al CPB, annunciate nel comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n.118, si segnala innanzitutto la proroga del termine di adesione al 30 settembre 2025, spostato rispetto alla precedente scadenza del 31 luglio. Questa decisione offre alle partite IVA un periodo più ampio per valutare meglio i vantaggi dello strumento. La modifica risponde direttamente alle richieste avanzate dai commercialisti e dalle associazioni di categoria, con l’obiettivo di alleggerire la gestione degli obblighi fiscali nei periodi caratterizzati da una maggiore attività lavorativa.
Una seconda importante novità riguarda l’esclusione dei contribuenti in regime forfettario. A partire dal biennio 2025-2026, infatti, i soggetti passivi d’imposta che applicano tale regime non potranno più accedere al CPB, riservato esclusivamente alle partite IVA che utilizzano gli ISA. Questa scelta deriva dalla scarsa adesione registrata nel corso del 2024, con appena 120mila contribuenti coinvolti rispetto ai circa 460mila soggetti che presentavano punteggi ISA particolarmente elevati.
Infine, cambia l’applicazione delle aliquote IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) e IRES (imposta sul reddito delle società) per i redditi più alti. Per i redditi superiori a 85mila euro, l’aliquota IRPEF applicata ai contribuenti aderenti al CPB salirà al 43%, mentre quella IRES resterà invariata al 24%. Ad esempio, su un reddito di 100mila euro, l’aliquota del 43% verrà applicata solo alla quota eccedente gli 85mila euro, ovvero su 15mila euro. Questo nuovo approccio segue il principio di progressività dell’imposta sul reddito, secondo il quale aliquote più elevate si applicano esclusivamente agli scaglioni superiori e non sull’intero ammontare.

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Opinioni discordanti sul nuovo concordato
Queste modifiche hanno suscitato reazioni contrastanti. Molti professionisti del settore fiscale hanno apprezzato la decisione di dare più tempo ai contribuenti per decidere se aderire o meno al concordato. Già nell’ottobre 2024, invece, l’Associazione Nazionale Commercialisti (ANC), insieme ad altre sigle di categoria, aveva evidenziato l’inadeguatezza delle scadenze precedenti e richiesto un intervento per concedere più tempo ai contribuenti. In una nota stampa, le associazioni avevano sottolineato che la scadenza iniziale rendeva difficile valutare adeguatamente le conseguenze dell’adesione. La proroga al 30 settembre, quindi, rappresenta una risposta a queste richieste, offrendo un periodo più ampio per valutare la convenienza dello strumento.
Tuttavia, ci sono anche alcune novità che potrebbero rendere il provvedimento meno conveniente per alcuni. Ad esempio, chi aderisce al concordato ma poi guadagna più di 85mila euro rispetto all’anno precedente, dovrà pagare un’imposta più alta. In questi casi, si applicheranno le normali aliquote IRPEF (43%) per le persone fisiche e IRES (24%) per le società. Questo significa che, se si guadagna molto di più rispetto a quanto previsto, il vantaggio di aver aderito potrebbe diminuire.
Inoltre, sono state introdotte nuove regole che possono escludere alcuni contribuenti. Ad esempio, chi dichiara sia reddito da lavoro autonomo che partecipa a società tra professionisti potrebbe non poter aderire. Resta quindi da vedere se queste modifiche renderanno il concordato preventivo biennale uno strumento davvero efficace per semplificare il fisco e incentivare tutti a pagare le tasse in modo corretto. Sarà importante monitorare attentamente i risultati nei prossimi anni per capire se saranno necessari ulteriori aggiustamenti.
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